La popolazione del Malawi è di 13 milioni di abitanti, di cui il 47% circa è al di sotto dei 15 anni di età. L’aspettativa di vita è di 40 anni, a causa di malattie, malnutrizione e scarse condizioni di igiene.

La situazione sanitaria in cui versa il paese è difatti disastrosa, come del resto lo è tutto il “Continente Nero”. La mortalità infantile è molto elevata: su mille neonati ne muoiono più di cento entro il primo anno di vita, e 180 nei primi cinque anni. Quattro gravidanze su cento si concludono con la morte del feto, e 1800 su 100.000 sono le morti delle partorienti. L’assistenza al parto, nei villaggi, viene fatta dalle “mammane” che non hanno nessuna preparazione professionale. Per questa ragione, quando si verificano parti difficili, non potendo intervenire con taglio cesareo, la morte di madre e figlio, o di uno dei due, è certa. Nei villaggi non esiste il medico e si ricorre al santone.

Da oltre vent’anni questo paese è associato al peggiore acronimo che esista al mondo: AIDS, prima causa di morte non solo in Malawi, ma nell’Africa intera. Nel mondo occidentale, grazie all’azione di terapie mediche basate su una combinazione di antiretrovirali e somministrate presso centri medici d’eccellenza, il periodo di passaggio dalla sieropositività alla malattia conclamata si è allungato di parecchi anni; naturalmente un ruolo positivo l’ha avuto una sana alimentazione.

Tutto questo manca in Malawi ed in Africa in genere; di conseguenza, in assenza di terapie adeguate, il passaggio dalla sieropositività alla malattia è breve. Con la malattia conclamata, inoltre, diventa inevitabile la sovrapposizione delle malattie cosiddette “opportunistiche” quali la tubercolosi, l’epatite, la malaria, la schistosomiasi, le malattie intestinali etc, che poi diventano la vera causa di morte.

La maggiore diffusione del virus dell’HIV avviene per promiscuità, a causa di rapporti sessuali non protetti (il primo rapporto sessuale in Malawi si ha in genere intorno agli 11 anni), nonché a pratiche sessuali “tradizionali” assai diffuse. Le neo vedove, ad esempio, sono tenute ad avere rapporti sessuali con il cognato; le donne sterili si fanno “curare” offrendo il proprio corpo allo stregone-medico del villaggio, e un destino analogo è riservato alle ragazze con la prima mestruazione.

Nel paese le strutture sanitarie, gli ospedali e gli ambulatori sono del tutto carenti e comunque a pagamento. I più importanti si trovano solo nelle due città principali, Lilongwe e Blantyre. A Lilongwe il reparto maternità, quello per il trattamento della tubercolosi e per la riabilitazione per la polio sono situati in un ospedale vecchio e fatiscente situato in una zona malsana alla periferia della città, in modo da tenere lontano dalla vista le patologie della “vergogna”.

Se consideriamo che il 15% delle partorienti in Malawi è sieropositivo, la maternità è la prima causa di contagio per i bambini, rappresentando il 30% di tutti i nuovi casi di HIV nel paese. Al fine di limitare il diffondersi della malattia è necessario intervenire e stroncare la trasmissione verticale del virus madre-figlio (mother-to-child-trasmission). Il governo malawiano sta intervenendo anche grazie alla Fondazione Boerhinger Ingelheim, che ha fornito gratuitamente un antiretrovirale, la Nevirapina, la quale però limita solo parzialmente la trasmissione madre-figlio, in quanto sarebbe necessaria, come detto prima, l’interazione di diversi farmaci, il cui costo però, almeno per il momento, è troppo elevato. Inoltre, se nelle città e nelle zone limitrofe si può far affidamento su una parziale assistenza medica, lo stesso purtroppo non può dirsi per i villaggi lontani dalle città, dove vive d’altronde la maggior parte della popolazione.

Ecco perché si rende necessario realizzare dei centri sanitari in periferia, dove assistere la popolazione a partire dalle indagini cliniche, per continuare con la prevenzione e le cure e per finire, laddove necessario, con la riabilitazione.